El que no tiene de congo, tiene de carabalí: schiavitù e origini della Santeria a Cuba

L’introduzione degli schiavi neri a Cuba ebbe inizio in epoca remota già nel 1502, quando i Re Cattolici nominarono Nicolás de Ovando Caballero governatore di Española, Indie e Terre Ferme dell’Ordine di Alcantara e Commendatore di Lares. Le istruzioni che gli furono impartite comprendevano l’ordine di non consentire l’ingresso a ebrei e mori, ma agli schiavi neri sì.
Il 15 settembre del 1501, la data recata da quella Postilla Reale, può essere accetta come inizio del regime legale della schiavitù nera nelle Indie occidentali e associarne la responsabilità ai Re Cattolici.
A Cuba, conquistata dopo il 1512, ci furono ribellioni a partire da quando fu stabilita la schiavitù. Nel 1538 gli schiavi saccheggiarono L’Avana insieme ai corsari francesi che la raggiunsero dal mare. Nei primi zuccherifici cubani gli schiavi vivevano in capanne di legno ereditate dagli indios Taino, ma quando la popolazione nera aumentò e le ribellioni cominciarono a ripetersi, i neri furono costretti a vivere come in prigione in baraccati con una sola porta e finestre piccolissime, alte e con robuste grate.
La rivoluzione di Haiti nel 1791 ebbe diverse conseguenze, tra cui il boom dello zucchero e lo sviluppo della coltivazione del caffè. Inoltre, insegnò due lezioni ai cubani ricchi e influenti: non dare mai nessuna possibilità agli schiavi africani e non allontanarsi dalla protezione che la metropoli può fornire con il suo potente esercito. A causa delle guerre di indipendenza in America, molti rifugiati fedeli alla Spagna arrivarono a Cuba.
Tra il 1820 e il 1868 Cuba fu la colonia più ricca del mondo e l’industria cubana dello zucchero la più forte dei Caraibi. Per lavorare nelle piantagioni, i proprietari terrieri importarono tra il 1763 e il 1862 oltre 750.000 schiavi africani. Vivevano in condizioni estreme: c’erano in media quattro uomini per ogni donna e durante il raccolto lavoravano fino a venti ore al giorno.
I neri non sono stati cacciati come animali, come si suol dire. Questo non è ancora chiaro nella storia di Cuba perché ciò che molti non sanno è che la maggior parte dei neri, prima di essere acquistati o scambiati tra negrieri e contrabbandieri di tutte le nazionalità o altre tribù africane che avevano soggiogato aree dello stesso continente, erano già schiavi nel continente africano, e furono trasportati schiacciati come animali nelle navi negriere, e molti non resistevano al lungo viaggio atlantico. Alla fine venivano venduti sulle coste americane a grandi proprietari terrieri e ad altri benestanti. Furono generalmente sottoposti a lavori brutali in condizioni disumane. Solo quelli destinati al servizio domestico ricevevano un trattamento meno brutale, ma quelli che andavano nelle miniere, negli allevamenti di bestiame, nelle piantagioni di canna o destinati ad altri lavori agricoli, dovevano lavorare 14, 16 o più ore al giorno, mal nutriti, seminudi e alloggiati in baracche malsane. Naturalmente, fu loro negato ogni tipo di educazione, tranne quella religiosa con la quale si cercava di convertirli alla fede cristiana.
Quando gli schiavi non lavoravano come richiesto dal caposquadra, oppure quando commettevano qualche errore, si potevano infliggere loro diversi tipi di punizione: picchiarli con fruste o catene, incatenarli, metterli al ceppo, bloccarli a tempo indefinito o perfino ucciderli.
Anche gli schiavi, in misura maggiore rispetto agli indios, scappavano in luoghi inaccessibili, costruivano le loro comunità diventando cimarron (schiavi fuggitivi, n.d.t.). Furono perseguitati tenacemente, i padroni assumevano uomini spietati conoscitori delle montagne che, con armi e cani addestrati, diedero loro la caccia. La cattura di un cimarron comportava in genere la sua morte, appeso a un albero come lezione. In epoche successive, gli schiavi acquisirono la consapevolezza della lotta e organizzarono ribellioni per la loro emancipazione. Il lavoro degli schiavi a Cuba durò tre secoli e mezzo.
Per i proprietari terrieri era più economico far lavorare gli schiavi fino a farli scoppiare e poi acquistare di nuovi piuttosto che offrire loro condizioni di vita più umane. Ci furono alcune ribellioni, ma temendo un’altra Haiti, i proprietari terrieri le schiacciarono violentemente. Un altro motivo per cui i proprietari terrieri trattavano i loro schiavi in modo disumano era perché sapevano che questa manodopera a basso costo sarebbe finita presto.
Nel 1817 la Spagna firmò, sotto la pressione dell’Inghilterra, un impegno che decretava la soppressione della tratta a partire dalla fine del 1820. Le navi da guerra inglesi pattugliavano l’Atlantico e arrestarono e impiccarono i mercanti di schiavi, così che per ottenere nuovi schiavi per le piantagioni occorreva contrabbandarli. La perdita di uno schiavo era una minaccia per le borse dei proprietari.
La condanna internazionale della tratta degli schiavi mise fuori legge la tratta degli africani; di conseguenza, al prezzo degli schiavi occorse aggiungere una tangente per corrompere le autorità. Il commercio clandestino fece alzare il prezzo degli schiavi che, in aggiunta alla concorrenza causata dall’ingresso nel mercato dello zucchero di barbabietola, sollevò l’urgente necessità di ridurre i costi di produzione delle piantagioni e delle fabbriche cubane.
Nel 1820, praticamente in coincidenza con la fine della tratta, arriva a Cuba la macchina a vapore, e inizia una rivoluzione industriale senza precedenti. Nel 1827, a Cuba, c’erano più di mille mulini, e i mulini  della fine del XIX secolo è ormai tutto meccanico, nulla viene più fatto a mano.
Nel 1837 fu realizzata da una società di proprietari terrieri creoli la prima strada ferrata, ma è dopo la guerra dei 10 anni che vengono introdotte le traverse di acero che rendono più economica la costruzione della ferrovia che inizia così a essere conveniente su larga per i mulini, non solo estendendo le linee ai campi coltivati a canna, ma anche collegando gli zuccherifici tra loro e con i porti di stoccaggio e di esportazione.
Nel 1822 un gruppo di influenti membri della borghesia zuccheriera si avvicinò agli Stati Uniti, dove la schiavitù era ancora legale, con l’obiettivo di aderire all’Unione e mantenere così la schiavitù, mentre i ricchi proprietari terrieri in generale non persero certo tempo e trovarono altri modi per aumentare i profitti. Furono impiegate nuove tecnologie per ottenere zucchero raffinato e nel 1837 fu inaugurata la prima linea ferroviaria che collegava tutti i grandi impianti e i porti, e i costi di trasporto si ridussero del 90%, che consentì loro di arricchirsi ulteriormente.
I mulini crescono di dimensioni e nasce il latifondo. Già nel 1890 c’era un mulino, il Constancia, che produceva un raccolto di 135.000 sacchi di zucchero, il più grande del mondo. Di certo, per questo aveva bisogno di mani e queste erano fornite da schiavi africani e lavoratori giornalieri haitiani e giamaicani.
Tutto questo, però, non poteva durare per sempre. Gli schiavisti riponevano le loro speranze nel Sud schiavista degli Stati Uniti e speravano nella sua vittoria nella guerra civile del 1861-1865, ma la sua sconfitta significò invece la fine della schiavitù. L’ultimo schiavo africano fu venduto nel 1867.
La principale conquista raggiunta dai cubani durante la guerra dei dieci anni fu l’abolizione della schiavitù. La Spagna, per contrastare l’abolizione conquistata con le rivolte armate dei patrioti, aveva promulgato già dal 1870 la cosiddetta “legge dei grembi liberi”, che garantiva la libertà a tutti i bambini schiavi nati a Cuba dal settembre 1868, a coloro che avrebbero aiutato le truppe spagnole e a chi aveva 60 anni.
Nel 1878, a seguito del Patto di Zanjón, la Spagna accettò di riconoscere la libertà di tutti gli schiavi neri e dei coloni asiatici che avevano combattuto nelle fila dei mambisas, ma che gli schiavi che avevano servito la Spagna fossero mantenuti in schiavitù era una contraddizione, così nel febbraio 1880 fu firmata la cosiddetta “Ley del Padronato”, che pose fine alla schiavitù a Cuba. Tuttavia, quell’emancipazione era ancora sostanzialmente formale, dal momento che i liberti sarebbero rimasti sotto i loro padroni per un periodo che poteva arrivare anche fino a otto anni dopo l’approvazione della legge. Finalmente, nell’ottobre del 1886, il governo spagnolo abolì il padronato e ordinò l’abolizione totale della schiavitù a Cuba. In questo modo fu definitivamente liquidato il regime schiavista, antenato per più di tre secoli e mezzo.
È difficile calcolare l’esatta quantità di africani introdotti a Cuba. La stima più accreditata finora è di un milione e trecentomila. Questa cifra parla da sé dell’impatto economico, sociale e culturale derivante da questi eventi.
Gli schiavi venivano portati praticamente da tutta l’Africa sub-sahariana, il che spiega la grande diversità dei gruppi etnici, ma il contributo africano non si limitò all’economia delle piantagioni di zucchero e di caffè: fu fondamentale anche per la produzione di tabacco, per la costruzione di strade e vie di comunicazione, fortificazioni, e grandi dimore nelle città.

Abolizione della schiavitù e cambiamenti sociali
La guerra di liberazione nazionale, l’abolizione della schiavitù e l’espansione della produzione di zucchero in altre regioni del mondo, causarono importanti cambiamenti nella fisionomia della società cubana. Gli ex schiavi iniziarono ad alimentare la massa dei lavoratori salariati, artigiani, contadini e altri lavoratori liberi. La maggior parte dei ricchi cubani si rovinarono, molti andarono a integrare gli strati intermedi urbani, mentre in campagna, quando persero la proprietà dei loro mulini e a volte delle loro terre, si dedicarono alla produzione di canna da zucchero per fabbriche che non appartenevano più a loro.
In precedenza, i coltivatori di zucchero erano proprietari non solo degli zuccherifici, ma anche delle piantagioni di canna, ma la rovina causata dalla guerra, le crescenti confische praticate dalla Spagna e la necessità di investire grandi risorse nella modernizzazione dei mulini per competere con i produttori di altri paesi, portarono alla concentrazione del capitale e della produzione di zucchero. Il numero di mulini – adesso chiamati centrali – si ridusse notevolmente mentre aumentò la loro efficienza, mentre la proprietà passò nelle mani delle aziende più potenti e dei proprietari terrieri. Si ampliò l’estensione dell’area agricola di ciascun mulino e il numero di produttori, ed emerse così un nuovo settore contadino, quello dei coloni zuccherieri che piantavano canne nelle loro colonie per venderle alle centrali. È in questa fase che inizia a penetrare con forza il capitale nordamericano, soprattutto nei settori dello zucchero, minerari e del tabacco. Nel 1895, gli investimenti yankee raggiunsero i 50 milioni di dollari, una cifra notevole per quei tempi. Politicamente, Cuba continuava ad essere una colonia spagnola, ma economicamente cominciava a dipendere dagli Stati Uniti.

Articolo originale: El que no tiene de congo, tiene de carabalí: la schiavitù a Cuba