Premio alla Dignità a Graciela Pogolotti

C’è un’altra bella storia, tra le tante, che unisce l’Italia a Cuba. Ce n’è una in particolare, che un giorno vi racconteremo per bene, che unisce Giaveno, un piccolo paese dell’area metropolitana torinese della Val Sangone, con l’Avana degli anni ’20 del secolo scorso. E’ la storia di un architetto che progettò e realizzò il primo quartiere operaio dell’Avana. Il quartiere, che si trova nel Municipio di Marianao, ancora oggi porta il nome del suo “inventore”: Barrio Pogolotti. Graciela Pogolotti, la nipote di Dino, il “capostipite”, è oggi una autorevolissima intellettuale cubana molto stimata.

La Upec, Unión de Periodistas de Cuba (Unione Giornalisti di Cuba) ha riconosce il Premio alla Dignità ai giornalisti che si distinguono per meriti straordinari.
Quest’anno è stato consegnato alla editorialista dei principali media del paese, critica d’arte, Premio Nazionale per la Letteratura, Presidente del Consiglio Consultivo del Ministero della Cultura, Membro dell’Accademia Cubana di Lingue e Presidente della Fondazione Alejo Carpentier, dottoressa Graciela Pogolotti Jacobson, per i suoi meriti di giornalista da oltre sei decenni di collaborazione con la stampa nazionale e per essere un emblema dell’etica e della professionalità del giornalismo cubano.
“Continuo perché credo che dobbiamo cercare di lasciare una testimonianza dell’era complessa che stiamo vivendo”, ha detto.
Graciela Pogolotti non è solita portar vanto delle sue cicatrici, ma ne ha di bellissime, perché in ogni battaglia della vita ci sono vittorie e sconfitte, conquiste e perdite, e nuovi modi di vedere.
Quelle belle cicatrici costituiscono il suo amalgama di esperienze che hanno avuto inizio a Parigi nel 1932, o quando la sua infanzia passò dalla Francia all’Italia durante gli anni di difficoltà economica della sua famiglia.


A casa non parlavano solo una lingua, ma la sua “cubanìa”, come scrisse Mario Cremata Ferrán, non fu mai messa in discussione, pur sapendo che nel suo corpo scorre sangue russo e italiano.
Arrivò a Cuba che aveva sette anni, e a quel tempo era già curiosa della vita. “Dal fango e dalle voci”, l’autobiografia del grande pittore e scrittore Marcelo Pogolotti, suo padre, racconta l’aneddoto di Graciela che a sei anni baciò la porta della scuola che stava lasciando in Francia per trasferirsi in Italia. Quella stessa curiosità di conoscere che la professoressa e saggista Margarita Mateo Palmer qualifica come grande capacità di leggere e interpretare il suo tempo e le esperienze di vita, fino a materializzarsi in una solida consapevolezza di un’ampia cultura che la metterà direttamente in contatto con i valori profondi di ogni essere umano e con la sua capacità di resistere.
In Francia ritornò nel 1952 per studiare letteratura contemporanea francese alla Sorbona, dopo aver completato la sua preparazione universitaria in Filosofia e Lettere. Lì, nella Biblioteca di Santa Genoveva e nei musei, le mostre e gli spettacoli teatrali testimoniarono il suo interesse nella comprensione del dibattito sulle idee sviluppatosi dopo la guerra.
“Penso di aver fatto il mio dovere”, disse una volta in un’intervista. E lo sapeva fare bene: alla Facoltà di Arti dello Spettacolo dell’Istituto Superiore d’Arte, come consigliera della Biblioteca Nazionale, come Vice Presidente dell’Unione Nazionale degli Scrittori e Artisti di Cuba e in molte altre istituzioni e incarichi di responsabilità, ha sempre partecipato intensamente al dibattito culturale cubano della seconda metà del XX secolo.
Disperso, raccolto in modo frammentario e sempre su pressioni esterne, su richiesta di altri, disseminato in prologhi, prefazioni, cataloghi, giornali, riviste. Così appare, nelle parole di Mateo Palmer, il suo lavoro: l’impronta di un’espressione molto preziosa di un progetto intellettuale estremamente vasto che trascende la parola per connettersi con la vita attraverso l’azione, l’etica e una chiara proiezione ideologica.
Graciela ha una specie di abitudine, dice che è “una sorta di seconda natura innestata su tutta la sua vita, un esame di coscienza portato a termine alla fine di ogni giornata, quando non una vera e propria retrospettiva”.
Introspezioni tangibili in Dinosauria son, le sue memorie, quelle scritte per “incitamento” e quelle di cui, in un’intervista rilasciata a Mario Cremata Ferrán, ebbe modo di dire: “In considerazione del fatto che non era un progetto nato spontaneamente, quando credetti di averlo terminato consegnai il manoscritto all’Uneac”.
In quanto alla “dinosauria”, l’aggettivo funzionerà per i suoi anni di vita perché fu sempre il suo tratto comportamentale che si sviluppò e sedimentò in tempi diversi: “Io sono – e come tale mi riconosco – una specie di osservatore, un testimone di lungo periodo”.
Avrebbe avuto un lavoro più ampio se avesse seguito il consiglio di Fernando Ortiz e José Lezama Lima, che le raccomandarono di concentrarsi su un’area delimitata di studi, ma Graciela riconosce di essere stata sempre terrorizzata dall’eccessiva specializzazione. Lei assunse, in buona misura, i compiti imposti dalle circostanze perché forse le piace camminare senza meta. “Flâner”, direbbero i francesi…
Patricia Maria Guerra Soriano, Cuba Periodistas, 23 gennaio 2020
Articolo originale: Entregan Premio a la Dignidad a Graziella Pogolotti