Cinquantacinque anni fa, il ricordo di Aleida Guevara

Il tempo è impressionante, è come un respiro, sei consapevole dell’attimo in cui l’aria passa al tuo fianco, ma non ti rendi conto di quanti anni siano passati da quell’attimo. Quando ti guardi intorno, ti sorprendi delle persone cambiate rispetto a quel momento, che ricordi come quel respiro. Così, forse capisci che da allora è passata una vita.
Dico sempre che sono la primogenita della cucciolata, mia sorella Hildita è il frutto del primo matrimonio di mio padre e non abitavamo nella stessa casa, ma le altre quattro stavano in una scala di età molto ravvicinate, e siamo state i rami di uno stesso albero, del bellissimo amore che misero in atto i miei genitori. Come sorella maggiore, ricevetti la notizia della morte di mio padre da mia madre, non dimenticherò mai quel momento. Il ricordo di quel momento è ancora molto nitido.
Pare che quando la notizia cominciò a circolare, per proteggerci ci portarono fuori dalla scuola e andammo in una casa a Santa Maria. La verità è che non ne sono sicura, ma è ciò che ricordo che mi dissero. La cosa strana è che non eravamo in vacanza e la mamma lavorava fuori provincia, ma non posso mentirvi: eravamo felici di non dover andare a scuola. La cosa insolita è che non ci stavamo nemmeno godendo la spiaggia, uscivamo a malapena di casa, sentivamo che c’era qualcosa di diverso, c’era tristezza nelle persone che si prendevano cura di noi, i compagni che urlavano e ridevano sempre, erano invece molto silenziosi e ci guardavano con pietà. No, non avevo idea di cosa stesse succedendo, avevo 6 anni.
In quei giorni ricordo che avevo mal di denti e mi portarono dal dentista. Era diverso, le strade erano come vuote e vedevo grandi cartelloni pubblicitari con le foto di papà, ma non riuscivo a leggere cosa dicevano sotto, chiedevo e nessuno mi rispondeva, oppure cambiavano argomento.
Non ricordo esattamente quando fu, ma una sera mio zio Fidel invitò me e mia sorella maggiore a cenare con lui. Ero felice, mio zio era il depositario di tutta la mia tenerezza di figlia. Cenammo noi tre nel suo appartamento di Calle 11, e alla fine disse che voleva dirci qualcosa. Ci spiegò che aveva ricevuto una lettera da mio padre dove ci chiedeva che, se un giorno fosse morto in combattimento, non dovevamo piangere per lui, perché quando un uomo muore come vuole, non si deve piangere.
La verità è che non capivo di cosa si trattasse, ma quando lo zio ci chiese la nostra parola di pionieri che se fosse successo non avremmo pianto, ricordo chiaramente che mia sorella disse che l’avremmo fatto, e che io feci un salto e gli dissi: “Però zio, io non sono ancora una pioniera”. Al che, lui rispose: “Allora dammi la tua parola di rivoluzionaria”, e gliela diedi subito.
Il giorno dopo mi riportarono a casa di mio zio e c’era zia Celia (Celia Sánchez Manduley) in cucina. Mi fece prendere la medicina e mi chiese di portare una scodella di minestra a mia madre che era nella sua stanza. Che gioia, mia madre era finalmente a casa e le stavo portando la zuppa di mais che le piaceva tanto! L’impressione fu molto forte, mia madre piangeva inconsolabile e io non capivo cosa stesse succedendo. Non ricordo molto di quello che successe dopo: mi vedo seduta davanti a lei che, piano piano, si calma, tira fuori un foglio e comincia a leggermi una lettera. L’ascolto molto attentamente, è difficile capire cosa dice, all’inizio la lettera spiega qualcosa come se lui non fosse più con noi, e alla fine dice “un bacio grande da papà”. Fu quello il momento in cui quella bambina seppe di non avere più un padre.
Pensate a quel momento: mia madre piange e legge una lettera che capisco essere di addio, una lacrima mi scorre lungo la guancia, ma ricordo la parola data a mio zio Fidel e mi siedo sul letto e gli dico “mamma, non piangere, mio papà è morto come voleva, non dobbiamo piangere per lui”. Qualcosa del genere, non ricordo esattamente, ma mia mamma deve essere rimasta colpita dalla forza di quella bambina, non sapeva che io stavo ripetendo quello che mi aveva detto mio zio la sera prima. Così, attraverso di me, zio Fidel ci ha aiutati a superare quel momento.
Gli anni sono passati e col tempo l’immagine di papà è cresciuta dentro di me con la dimensione umana che oggi cerco di conoscere più a fondo. A poco a poco abbiamo letto i suoi scritti e discorsi e abbiamo trovato un immenso patrimonio di saggezza. In pochi anni di vita ha scritto molto e, quel che è meglio, ha fatto quello che diceva. È forse uno degli uomini più coerenti che abbiamo mai conosciuto e, come diceva Fidel, è diventato l’esempio più completo di rivoluzionario, il modello dell’uomo nuovo che ancora oggi, a tanti anni dalla sua morte, continua a mostrare alle nuove generazioni il percorso da seguire.
So che non è facile imitare questo straordinario esempio di vita, ma per migliorare e perfezionare la nostra società abbiamo tanto bisogno che questo esempio si moltiplichi nei bambini e nei giovani, abbiamo bisogno che lo studino e riportino alla vita quotidiana il suo senso di giustizia sociale, il suo disinteresse per le cose materiali, il suo rispetto regale per gli esseri umani, specialmente i più emarginati e bisognosi, il suo modo di praticare la solidarietà con ogni essere umano e con i popoli del mondo.
Il nostro Che non può morire, deve continuare insieme ai nostri pionieri quando dicono “Pionieri del comunismo, saremo come il Che”, deve continuare a vivere insieme a questo popolo che, nonostante le immense difficoltà che soffriamo, sa che qui nessuno si arrende, e deve continuare il suo lavoro quotidiano di costruttore di una società più giusta insieme alle braccia e alle menti dei nostri medici che si ispirano al suo esempio di medico rivoluzionario, per compiere le imprese che compiamo in mille altre parti del mondo, ma soprattutto tutti quelle che compiamo insieme al nostro popolo, l’unico sovrano che serviamo.
Il nostro Che deve continuare a combattere, senza paura, con la verità e la giustizia come armi. Continuare la sua opera significa continuare il socialismo. Può essere difficile, certo, ma lui ci ha detto che tutti possiamo stancarci, abbiamo il diritto di farlo, ma poi non saremo in prima linea e tutti fratelli, perché questo popolo è l’avanguardia, è la speranza di milioni e milioni di persone che vedono nella nostra resistenza e nella nostra lealtà la possibilità di un mondo migliore.
Non piangiamo la sua perdita fisica, continuiamo la sua opera affinché continui a vivere in ognuno di noi “fino alla vittoria, sempre!”.

Aleida Guevara March
(http://www.cubarte.cult.cu/centro-che-cuba/)