
Ricordare il percorso e i giorni epici che condussero alla vittoria della Rivoluzione Cubana non è solo un esercizio della memoria storica, ma è anche ritrovarsi nella certezza di quei valori che ci aiutano a coltivare l’immagine di un futuro migliore. È un sentimento che traspare anche dalle parole di questa emozionante lettera scritta da Christiane Barckhausen a Tina Modotti, una immaginaria lettera d’amore rivolta a lei e poi a Cuba. A ricordo del 66° anniversario del Trionfo della Rivoluzione Cubana e poi, il 6 gennaio 1942, a commemorazione di Tina che lasciò la sua vita terrena di artista, rivoluzionaria e antifascista.
Cara, stimata, indimenticabile Tina Modotti,
La tua vita è stata breve, è durata solo 45 anni, ma è stata una vita molto intensa e sempre dedicata agli altri. Sei stata, durante tutta la tua esistenza, la solidarietà in carne e ossa. Sei nata nel 1896 e sei morta nel 1942 a causa del tuo cuore malato, non solo dal punto di vista medico, ma anche perché molte cose che hai dovuto vedere e vivere te lo hanno spezzato.
Anche se tu avessi avuto una vita più comoda, e se non avessi dovuto vivere persecuzioni, diffamazioni e guerre, certo oggi non saresti comunque qui, a 128 anni, ma forse, in altre condizioni, saresti potuta arrivare a 80, o a 90 anni. Avresti potuto vedere la vittoria sul fascismo, l’indipendenza di tante ex colonie in Africa e in Asia e, in molti Paesi del mondo, rivoluzioni e tentativi di costruire una società più giusta, e di formare nuove donne e nuovi uomini, ovvero più umani.
Mi sono spesso chiesto dove avresti scelto di vivere se non fossi morta nel 1942. Forse saresti tornata in Italia, il paese dove sei nata, o forse avresti deciso di rimanere in Messico, il paese dove hai vissuto più a lungo e al quale hai regalato le tue fotografie, che oggi sono esposte in tutto il mondo. Ma sono sicura che, dopo il 1959, ti saresti trasferita a Cuba, dove la Rivoluzione che hai tanto anelato aveva trionfato.
Cuba aveva un posto molto speciale nel tuo cuore, anche se avevi trascorso solo tre giorni sull’isola e, come dice una notizia pubblicata il 15 marzo 1930 sul El Diario de la marina, “reclusa nel campo di Tiscornia”. Eri in viaggio verso l’Europa, espulsa dalle autorità messicane per essere “una straniera pericolosa”, per essere comunista.
Se fossi stata viva nel 1959, saresti andata a vivere a Cuba perché eri legata all’isola dalla tua breve, ma intensa unione con Julio Antonio Mella, il grande amore della tua vita. Voi due avete vissuto ciò che poche coppie raggiungono: la totale identificazione reciproca, resa possibile perché condividevate lo stesso sogno, la Rivoluzione. Nel tuo Paese, Mussolini perseguitava chi non la pensava come lui e a Cuba governava Machado, colui che Mella chiamava “piccolo Mussolini”. Tu con le tue fotografie, Mella con i suoi articoli e con l’organizzazione degli esuli cubani in Messico, entrambi avete cercato di sensibilizzare le masse oppresse.
Con Mella hai anche cercato di realizzare un altro sogno: quello di creare una famiglia. Siccome tu, a causa dei tuoi problemi di salute, non potevi avere figli, volevi portare in Messico il figlio di tua sorella Gioconda, ma il regime fascista non gli diede il permesso di lasciare l’Italia.
Se tu avessi vissuto più a lungo, Tina, avresti visto la nascita, a Cuba, dell’Unione dei Giovani Comunisti, i cui membri portavano un distintivo sulla camicia o sulla camicetta con la foto di Mella che tu gli avevi scattato nel 1928, in Messico, così come avevi immortalato anche la sua macchina da scrivere.
Il mondo è molto cambiato, cara Tina. Ora avresti dovuto vedere che forze neofasciste alzano la testa nella tua Italia, nella mia Germania, nella nostra Spagna e in diversi altri paesi del mondo. Ma tu, Tina, sceglieresti anche oggi di vivere a Cuba, perché è il Paese del mondo che, più di qualsiasi altra nazione, tiene alta la bandiera della solidarietà. Non con brigate di combattenti, ma con brigate di personale medico che aiuta dove c’è più bisogno.
E la fotografia? Nel mondo di oggi le persone hanno telefoni portatili che servono non solo per fare chiamate o addirittura videochiamate: con essi si possono anche scattare foto, e lo fanno tutti, anche i bambini. E purtroppo molti scattano solo autoritratti, i cosiddetti selfie, e non vedono ciò che li circonda, né registrano le bellezze della natura o denunciano le ingiustizie. E molte volte, coloro che cercano di aiutare chi soffre sono considerati criminali. Questo è il mondo in cui viviamo oggi, Tina, e credimi, ci vorrebbero davvero tantissime persone come te.
Christiane Barckhausen-Canale