Vorrei che i miei testi contribuissero alla Rivoluzione e al Socialismo

Enrique Ubieta durante la presentazione dei suoi libri Diario de Turín e Cubanos en Turín alla XXX Fiera Internazionale del Libro dell'Avana. Foto: Abel Padrón Padilla/Cubadebate

di Karina Rodriguez Martinez, 20 maggio 2022
Traduzione a cura del Centro Studi Italia Cuba

Qual è il modo migliore per raccontare una storia? Molti sono gli scrittori, giornalisti, intellettuali o accademici che si pongono questa domanda prima di intraprendere un progetto. Per alcuni, è essenziale avere tutti gli elementi. Altri contano sulla propria immaginazione.
Enrique Ubieta Gómez preferisce essere presente nel luogo in cui si svolgono i fatti, condividerli con i protagonisti e narrare la storia partendo dalla sensibilità data dalla condivisione dell’esperienza.
Non importa se si tratta di ebola in Africa Occidentale o, più recentemente, di Covid-19 a Torino. Per Ubieta, esserci, vivere e partecipare è l’ispirazione giusta per far germogliare i suoi libri in un soffio. È il caso di Diario de Turin, un libro che raccoglie la storia degli infermieri e dei medici che hanno combattuto la pandemia in Italia. Il testo è stato presentato alla Fiera del Libro e raccoglie le esperienze dei collaboratori che hanno dato assistenza per 100 giorni a più di 170 pazienti affetti da covid-19.
Ma questo non è stato il primo contatto di Enrique Ubieta con il lavoro delle brigate mediche cubane. Nel 1998, due intensi uragani hanno colpito l’America Centrale e Haiti. In quel contesto, “la riattivazione dell’internazionalismo medico” è stata la prova della vitalità e delle possibilità di una Rivoluzione che non si è mai arresa, nonostante il Periodo Speciale. In situazioni difficili, la solidarietà ha continuato a essere un fondamento del Paese.
Nel 1999, Enrique presentò un progetto di libro che lo portò in Centro America un mese prima che arrivassero i primi giornalisti nei paesi dell’America o dell’Africa, dove le brigate mediche cubane erano in missione internazionalista.
“Nel mio viaggio durato un anno, in condizioni precarie, quasi senza soldi, viaggiando con i mezzi pubblici o ‘in bottiglia’, ho visitato il Nicaragua, l’Honduras, il Guatemala e Haiti. È stato il titolo di studio post-laurea ‘accademico’ migliore e più intenso che abbia ricevuto in vita mia”, ricorda Ubieta.
È così che nacque il suo primo libro sull’internazionalismo medico, La utopía rearmada, Premio della Critica Scientifico-Tecnica. “Mi ero proposto non solo di descrivere, ma di concettualizzare utilizzando tutte le risorse disponibili”.
Poi arrivarono altre sfide, il Venezuela, con il progetto Barrio Adentro e le sue missioni sociali. In Centro America e Haiti poté osservare e riflettere sull’effetto della solidarietà nei paesi poveri assoggettati al capitalismo neocoloniale. Il viaggio in Venezuela gli permise di osservare e riflettere sulla solidarietà nel processo di costruzione di una nuova società: “Ho riversato quell’esperienza nel mio libro Venezuela Rebelde del 2006”.
Qual è stato il tuo primo approccio con le brigate del contingente Henry Reeve?
Proprio in Venezuela ho assistito al processo di selezione dei collaboratori che sarebbero tornati a Cuba per unirsi alla formazione del contingente Henry Reeve. Ma non era ancora ‘il mio momento’. Di molte delle sue imprese, come quella in Pakistan, seppi dalla stampa. Anni dopo, avrei chiesto di documentare la missione dei nostri medici e infermieri Henry Reeve durante l’epidemia di ebola in Africa Occidentale, e condivisi brevemente con loro l’esperienza in Liberia, Sierra Leone e Guinea Conakry. Così è nato Zona Roja (2016), tradotto anche in italiano, inglese e francese, quest’ultimo con una prefazione di Ignacio Ramonet.

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Per Enrique Ubieta era molto interessante viaggiare con una brigata cubana nel cosiddetto Primo Mondo, non in un ‘oscuro angolo sottomesso o insubordinato’, ma in uno dei sette stati capitalisti più ricchi del mondo. Sarebbe stata sicuramente un’esperienza particolare e diversa.
Anche il contesto, ha detto, era unico: “Una pandemia globale ha paralizzato il pianeta e ha rivelato ed esacerbato la crisi sistemica che già esisteva. Fortunatamente, ho trovato orecchie ricettive e supporto”. È stato il 38° membro della Brigata di Torino.
“La mia intenzione iniziale non era quella di scrivere reportage per la stampa, ma di raccogliere informazioni per un libro. Però ho iniziato a pubblicare su Facebook piccole cronache e appunti sui miei colleghi, e i lettori mi hanno sorpreso: crescevano sempre più e mi chiedevano di continuare con la cronaca del giorno dopo.Non potevo fermarmi: feci 100 cronache, una per ognuno dei 100 giorni vissuti a Torino”.
Per i lettori, ricorda, il libro era già scritto. Qualcuno gli diede anche un nome: “Cronache da Torino”, ma il progetto iniziale aveva un orizzonte più largo.
Ubieta racconta che, mentre era in Italia, ha intervistato sindacalisti, attivisti sociali e medici che gli hanno svelato il graduale processo di smantellamento subìto dalla medicina sociale e la resistenza della grande industria a proteggere e interessarsi ai suoi lavoratori. Non essendo un profondo conoscitore della realtà italiana, ha deciso di esporla attraverso le testimonianze dei suoi intervistati: “Quella è in definitiva un’altra delle linee discorsive del libro”.
La terza linea è costituita da brevi saggi che si alternano e che affrontano tematiche molto diverse: l’accanimento del governo Trump contro il Venezuela e Cuba, l’assassinio dell’afroamericano George Floyd, la situazione in Brasile ed Ecuador, la mancanza di solidarietà europea e americana, la politica sociale per il contenimento della pandemia a Cuba e il ruolo delle biotecnologie; e poi la crisi ecologica e alcuni fra i dilemmi più importanti, come la libertà individuale contro la salute collettiva, la salute contro l’economia, la tecnologia contro le relazioni interpersonali.
“Gli aneddoti raccolti nelle cronache fanno appello ai sentimenti cercando di non varcare la soglia del sentimentalismo d’accatto. I saggi e le interviste fanno appello alla ragione”, spiega Enrique.
In ogni sezione è raccolta una selezione di pensieri di Papa Francesco e di Fidel Castro. In questo libro, non c’è una riga che manchi di intenzionalità.
Ubieta ha pubblicato altri libri di carattere più saggistico, come Ensayos de identidad (1993) o Cuba, ¿revolución o reforma? (2019 e seconda edizione nel 2012), tra gli altri: “Mi piace il saggio come genere letterario, ma cerco di trasformare i miei libri in ajiacos (minestrone, n.d.t.) letterari, dove si uniscono saggio, cronaca, intervista, testimonianza e perfino la fotografia”.
Ha anche fondato e diretto riviste come Contracorriente (1995-2002), La Calle del Medio (2008-2018) e Cuba Socialista (quarto periodo, dal 2016), che attingono a tutti questi generi: dalla più pura saggistica alla poesia.

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Cercando il nome ‘Enrique Ubieta’ su Google, si scoprono diverse professioni: intellettuale, scrittore, saggista, giornalista. Quando gli ho chiesto quale gli piace di più, non ha esitato a rispondere: “Te ne direi una che oggi non sembra essere di moda: quella di rivoluzionario. La mia letteratura è legata alla realtà; allo stesso tempo mi godo e soffro l’atto della creazione, ma vorrei che i miei testi contribuissero a rendere possibile la Rivoluzione, il socialismo”, ha risposto.

Articolo originale: Enrique Ubieta: quisiera que mis textos contribuyan a hacer viable la Revolución, el socialismo

L’edizione italiana del libro di Enrique Ubieta Diario de Turín curata dal Centro Studi Italia Cuba e pubblicata da Epics Edizioni esposta al Salone del Libro di Torino presso lo stand del Treno della memoria