La mia Cuba

Un tir in Habana Vieja

Ieri pomeriggio camminavamo lungo una via nel centro dell’Havana, ma non di quelle turistiche, di quelle dove la strada è dissestata e si procede tra pietre, detriti, buche e pozze d’acqua ed è necessario guardare bene dove si mettono i piedi per evitare di inciamparsi e cadere (soprattutto per me, ndr), ma che hanno comunque un grande fascino…
Sono le 18, e il sole filtra tra i palazzi colorandoli di arancione, con quella luce bellissima che anticipa il tramonto. La via è affollata, i bambini giocano e corrono, i ragazzi e gli adulti chiacchierano raccolti in gruppetti, le donne affacciate al balcone gridano ai bambini in strada, all’amica o al marito, cani e gatti passeggiano indisturbati, in cerca di cibo e di coccole.
Da dietro l’angolo sbuca un tir, e inizia a suonare il clacson, di cui qua si abusa e in genere è utilizzato per intimare ai carretti e alle persone di sgomberare la strada per lasciar passare il mezzo. Attraversiamo la strada e ci piazziamo dietro una macchina d’epoca mezza parcheggiata sul marciapiede di sinistra. La strada è stretta. Dall’altro lato il marciapiede non c’è, e un vecchietto è intento a mangiare il suo panino. É seduto su uno dei 3 gradini di ingresso del palazzo, ha appoggiato di fianco a sé una stampella e riposa le sue lunghe gambe tenendole distese ed occupando parte della strada.
Il tir continua a strombazzare e procede a una velocità secondo me eccessiva per le sue dimensioni, per quelle della strada e per la quantità di gente e animali presenti. É sempre più vicino, la gente si attacca ai muri delle case per lasciarlo passare, i cani entrano nei portoni o corrono nelle strade laterali. Inizia a spostarsi sulla destra per evitare di prendere in pieno la macchina d’epoca di cui prima, e si infila nello stretto passaggio tra essa e il muro. Ma il vecchietto continua imperterrito a mangiare il suo panino, con le sue lunghe gambe che occupano parte della strada. Forse non sente o semplicemente è così concentrato che non fa caso al tir ormai vicinissimo. Mi manca il respiro: il tir continua ad andare e non capisco se stia per fermarsi per permettere al vecchietto di spostarsi o se non abbia visto quelle gambe proprio lì in mezzo. Ho il terrore che stia per succedere una cosa brutta e non riesco a muovermi, ma non ho il tempo di preoccuparmi troppo: di fianco a noi c’è un gruppo di ragazzi presi a discutere della vittoria del Barcellona che, accorgendosi della cosa, iniziano a gridare all’autista del tir, si buttano in mezzo alla strada per bloccarlo, gesticolando, mentre uno di loro corre dal vecchietto – ormai preoccupato e in evidente difficoltà, pressato dalla necessità di levarsi di lì – per aiutarlo ad alzarsi, e lo fa con una dolcezza disarmante. Il tir è fermo e l’autista si affaccia dal finestrino abbassato: abituata alle “nostre” reazioni, mi stupisco nel momento in cui non sento volare insulti e nemmeno grida che intimano agli altri di sbrigarsi a levarsi dalla strada per lasciarlo passare. Semplicemente aspetta, salutando e chiedendo scusa.
Questa è Cuba, la sua solidarietà e l’attenzione al prossimo. Non nego di essermi commossa.
Giulia Mezzacappa, marzo 2017, La Habana.