La mia Cuba

Il dì di festa

Oggi la sveglia è suonata prestissimo, 3:50 del mattino. Apro gli occhi al primo gong, ci sono i panini da preparare, bisogna fare colazione, lavarsi, prepararsi, arrivare in stazione. E io sono leggermente ansioso quando c’è un mezzo di trasporto da prendere; figuriamoci quando i mezzi sono due!
Per fortuna siamo riusciti ad arrivare puntuali, per fortuna e per un po’ di eccesso di zelo, considerando che alla fine siamo arrivati in stazione con un quarto d’ora di anticipo.
“Il treno parte alle 4:50!” Ho detto a Vale.
La realtà è che partiva alle 4:54 da Porta Nuova, quindi sarebbe arrivato da noi dieci minuti dopo. Dettagli. Non per Vale che reclama i suoi cinque minuti di sonno in più.
Direi che, essendosi svegliata a Pesaro, ha quantomeno pareggiato il conto.
Arriveremo a Foggia alle quattro meno dieci del pomeriggio. La partita comincia alle due e mezza. Un errore del calcio moderno. Il sabato di Pasqua, da diversi anni, non si gioca più.
E invece, quest’anno, a gran richiesta evidentemente, si torna a giovare. Oggi è il primo season point contro la Reggina. Ma non basterà batterli, dovremo sperare in un regalino del Matera. D’altronde, “al diavolo non si vende, si regala.”
Ricordo il season point della scorsa stagione. Foggia Pisa, play off, finale di ritorno. Anche quella non riuscimmo a vedere. Eravamo a Sancti Spiritus, di domenica.
Questa cittadina, nel corso della settimana, me la immagino silente. C’è una fabbrica di sigari, penso che sia il principale business locale, il pane di questa ridente cittadina.
Sì, ridente. Perché per quanto me la possa immaginare silente in settimana, la domenica è un tripudio! Le strade sono gremite di gente. Si ride, si scherza, si beve. Fiesta! La nostra prima perlustrazione è a bordo del “carro”, stiamo ancora cercando l’hotel. “Mi raccomando, ci piacerebbe alloggiare in case particular” avevamo esplicitamente chiesto alla tipa dell’agenzia viaggi. “Mi dispiace ragazzi ma a Sancti Spiritus per noi è proprio impossibile.” “Che almeno non sia di quelli pacchiani, scimmiottamenti di quelli europei”.
Veniamo accontentati.
Il posto è molto bello ma resta tipico. Anche il mojito al bar prima di uscire è molto buono. E soprattutto, serve ad allentare la tensione. La partita, a Foggia, dovrebbe volgere al termine e il telefono non è squillato. Sarebbe dovuto squillare almeno due volte. Invece, niente.
Non ce la faccio più, chiedo spiegazioni ad Enzo. Lui mi dice:” vedi che è stata posticipata di due ore.” Io bestemmio. Ho già vissuto la sconfitta, ho già sofferto per novanta minuti. Inutilmente. Toccherà soffrire di nuovo tra poco.
Approfittiamo della bella giornata e ci riversiamo nei viottoli di questa bella cittadina affascinante. Non so se i colori o la forma delle case, fatto sta che mi ricorda Park Güell.
Come prima cosa cerchiamo la calamita. Noi dobbiamo avere la calamita di ogni città che visitiamo.
Purtroppo non sempre ci è stato possibile recuperarla, ma questa volta ci va bene. Troviamo un negozietto di souvenir proprio nella piazzetta antistante l’albergo.
Manco a dirlo, di fronte c’è la chiesa principale del paese.
Tipica architettura spagnola. La tipa del negozietto è molto gentile. Vorremmo anche comprare dei sigari e lei ci indica come andare alla fabbrica, per recuperarli direttamente alla fonte e fare anche una visita allo
stabilimento. Però, oggi è il dì di festa, niente trabajo. Rimandiamo a domani. In realtà il giorno dopo, andremo alla fabbrica ma non riusciremo né a comprare i sigari, né a visitarla.
Riprendiamo il nostro giretto turistico. Sbirciamo nella chiesa, ma ad onor del vero, l’unica cosa che mi resta impressa è un’impronta di cane lasciata nel cemento fresco, proprio davanti al cancello d’ingresso. Anzi no, sono due le cose che mi restano impresse. La seconda, è un pulmino giallo parcheggiato di fronte con la scritta “CRISTO CENTRO”.
Ci spostiamo verso la piazza principale, quella della festa. Non c’è ancora il pienone, ma si respira una bella aria. In fondo alla piazza, sulla sinistra, due camion militari. Ma non smistano armi, non oggi. Su ognuno di essi c’è una grande botte di Bucanero, la birra fuerte, pronta per essere spillata. Al centro della piazza, ci sono delle aiuole e delle panchine. Frotte di bimbi scorrazzano, giocano ad acchiapparsi. Gli adulti, invece, chiacchierano beati, con la birra ben salda nella mano sinistra. Nella destra, rigorosamente una sigaretta. Alle nostre spalle, un porticato, dove i meno impavidi di proteggono dal sole. La situazione ci piace molto e qui nessuno sembra vederci come un bancomat ambulante. Rimandiamo la beer zone a dopo, vogliamo prima mettere qualcosa sotto i denti. Imbocchiamo la stradina a sinistra dei portici che ci conduce sulla via dello struscio. Le nostre pance vengono subito attratte da una locanda poco avanti, sulla sinistra.
Non ci vediamo più dalla fame, andrebbe bene qualsiasi cosa. La sala è un po’ tetra ma ci accordiamo subito sul da farsi: “Gentilmente due pollos grillados con verdure vorremmo qualcosa di leggero” scopriremo a nostre spese che per loro la “grilladura” è il modo di chiamare la frittura nel burro.
I piatti arrivano e, nulla da dire, sono veramente buoni. Certo, col senno di poi, pollo grillado leggero è più un ossimoro che una reale ordinazione.
L’ora è tarda, nella sala ci siamo solo noi. Per quanto i cubani vengano da dominazione spagnola, la nostra famiglia mezza meridionale pranza più tardi! Stranamente, tra un pezzo di pollo e un fagiolino, vedo cadere delle gocce d’acqua. Il locale si riempie. Fuori si presenta a noi un tipico acquazzone caraibico. In realtà si presenta anche dentro; il soffitto non tiene granché, le gocce che vedevo nel mio piatto erano gocce di pioggia. Devo dire che, guardando la pozzanghera alle mie spalle, mi ritengo anche fortunato.
Finiamo di mangiare, ringraziamo e paghiamo.
Il temporale è finito e il sole sovrasta nuovamente il cielo.
Ci re-incamminiamo per la via dello struscio, lasciata deserta dal temporale. I locali ricominciano a popolarla pian piano. Il primo di tutti, a parte noi, è un bambino che scorrazza libero e felice, a piedi nudi, tra le pozzanghere. Non è il primo che vediamo, ma questo riusciamo a fotografarlo. È l’immagine della fanciullezza, della spensieratezza, della voglia di correre. Magari sta raggiungendo gli amichetti per giocare. Magari sta tornando a casa dai genitori. Non mi importa granché, quello che mi importa è sapere che c’è una madre che lascia il figlio libero di correre a piedi nulli, perché tanto, se viene il diluvio, ti entra lo schifo anche nelle scarpe. E lì ci resta. Invece, se sei scalzo, è lì solo di passaggio.
Ve la immaginate una mamma italiana che approccia l’argomento allo stesso modo? Non scherziamo. Questo paesino ci ha già regalato diversi spunti ma mi do ancora il tempo di scattare la foto del secolo.
La chiamerò “Mujeres de hoy, de ayer y de mañana”. Valentina, come attratta da una forza superiore, prende posto sulla sinistra. In centro, dietro le sbarre del cancello di casa propria, un’anziana donna. A destra, una donna sulla cinquantina brandisce una scopa. La foto si scatta da sola, non me ne volere, amore. Ma ecco che per ripicca mi gioca un tiro mancino. “Andiamo a prendere un dolcino? Ne avrei proprio voglia”. Certamente. Ci accomodiamo in questo bar, dove il proprietario sta cercando di scopare fuori l’acqua che è piovuta nel suo locale. È contento di riceverci ma un po’ imbarazzato poiché il diluvio si è portato via la corrente. “Tornerà” ci assicura “è solo questione di tempo”.
Noi gli spieghiamo che non c’è problema, che ci sta bene anche il buio. Allora vince l’imbarazzo e consiglia a Valentina il dessert della regione: queso e marmellata. “Per me una birra grazie. Se ne avete, vorrei anche io qualcosa di locale.” Mi sfodera il sorriso di chi sa che ha ciò che gli ho chiesto. Una sorta di “ghe pensi mi” tutto cubano. La birra peggiore della mia vita.
Arriva un messaggio. “Iemmello ha fatto goal. Manca un minuto più recupero.” Non faccio neanche in tempo ad illudermi che arriva il secondo messaggio: “Il Pisa ha pareggiato. Sarà per la prossima stagione.”. Dannazione. Bestemmio di nuovo. Sono riuscito a perdere questa finale due volte nello stesso giorno. Sono giù, Valentina se ne accorge. Prova a sdrammatizzare. In fondo lo sapevamo. Non ci eravamo illusi. Mi prendo il tempo per metabolizzarlo. Giusto un paio d’ore. Rientriamo per fare un riposino, ci prepariamo. Scendiamo, ci uniamo alla festa della domenica. Raggiungiamo la piazza. Questa volta, la birra la prendiamo anche noi. Mi assicuro che non sia la stessa del precedente bar. Ho già perso la finale due volte, indugiare con la birra peggiore mi sembra troppo.
Ci accomodiamo sulle panchine che popolano il centro della piazza. Sorseggiamo la nostra birra. “Vale, dai una sigaretta anche a me”. Me la accendo, schiena appiccicata allo schienale, birra nella mano sinistra, sigaretta nella mano destra. Braccia distese lungo la panchina. No te preocupa, estamos en Cuba.
Carmine Russo, 2016, Cienfuegos