Noi, i barbari

Chi sono più barbari: gli incivili indigeni della foresta amazonica o i milionari e colti azionisti delle imprese che si arricchiscono sulla loro distruzione?

Diamo per scontato che di guerre mondiali ne abbiamo avute due, ma se non ci atteniamo al criterio di perpetuare la comune narrazione, in realtà ne abbiamo avuta una sola, continua, da quando il cosiddetto Occidente ha inventato sé stesso con la scoperta dell’America.
Gli imperialismi europei, scoprendo che il pianeta era rotondo, fecero di ogni regione uno scenario di battaglie, a volte navali e a volte terrestri, ma il tempo della tregua fu sempre più corto di quello della guerra. In palio c’era l’appropriazione delle terre e il prezzo più alto in vite umane l’ha sempre pagato chi la terra se l’è vista espropriare.
Le vittime non sono state solo extra-europee: per la visione del mondo di chi si spartiva il nuovo emisfero, tutto ciò che stava a est del Danubio era “da civilizzare”. L’idea non era nuova: già al tempo dei Romani erano “altri” tutti coloro che non intendevano ereditare la tradizione greco-latina e che col tempo cominciarono a chiamarsi Austria. Oesterreich intesa come “Terra dell’est”: era vista come territorio di contenzione degli abitanti al di là del Danubio considerati primitivi, cioè barbari.
Il termine barbaro ebbe origine nella Grecia classica e si riferiva ai popoli che non parlavano greco. La sua etimologia – si dice – viene da una voce onomatopeica che imitava la pronuncia incomprensibile (bar-bar) di quelli che non parlavano greco. L’idea si estese poi a quelli che non condividevano “la purezza” della cultura classica, e incluse anche popoli greci nei confini del mondo ellenico che parlavano alcuni tipi di dialetto greco. Il termine non è mai stato inteso come innocente: la condizione degli “altri” come estranei a “noi” comportava una presunzione morale di giustizia nel renderli schiavi, e quindi giustificava la violenza con la superiorità culturale.
I romani, come in tante altre cose, adattarono il termine ai loro particolari contesti e barbaro finì per significare non-romano, attribuendovi una connotazione di primitivo e inferiore e giustificando così l’invasione e la sottomissione. Ma è con l’invenzione dell’Occidente e con l’espansione coloniale europea che il termine raggiunge un’implicazione globale: barbari sono tutti coloro da conquistare e assoggettare. Barbari erano gli abitanti del Nuovo Mondo che necessitavano la “cristianizzazione”, strumento dell’asservimento, tutela pietosa come condizione necessaria per la “salvezza”, anche se nella realtà finiva per essere strumento di sterminio.
Barbari erano i negri dell’Africa, mano d’opera schiava necessaria, anch’essi soggiogati a una crociata di civilizzazione che li esiliava inculcando la buona novella a colpi di ceppo e di frusta. Barbari erano i giapponesi, con le loro abitudini di guerre feudali da cui l’Occidente si era “affrancato”; barbari erano i cinesi gialli, che nessuno comprendeva e che andavano benissimo se accettavano di scambiare le loro risorse con l’oppio. Barbari erano gli indiani con i loro turbanti e le loro enigmatiche culture. Barbari erano i territori che l’infame Cook scoprì e incluse nell’impero britannico. Barbari erano gli arabi, con il loro esotico orientalismo, le loro voluttà e la loro sfrenatezza. Barbari erano l’ottomano minaccioso e l’affascinante egiziano, il siriano e gli eredi di Babilonia, i persiani e i popoli del ventre dell’Asia. Barbari erano anche gli slavi, popoli con un cristianesimo differente. E i rumeni, quegli strani contadini scontrosi, anche con una lingua d’origine latina. Diventarono barbari anche i greci – madre mia! – relegati tra capre e pastori. Non è casuale che i vampiri fossero di terre barbare e che Frankenstein, anche se figlio della scienza, fosse una ribelle degenerazione di terre tedesche dove si giocava all’apprendista stregone con strumenti al di fuori della umana comprensione.
Retamar ci ricorda nel testo “Di Dracula, Occidente, America e altre invenzioni” che il Dracula di Bram Stoker comincia certificando che a est del Danubio, al di là di Oesterreich, c’era l’incognito e l’oscuro, il territorio di terribili realtà fantastiche.
Inclusi nell’Occidente, dopo gli stermini e la supremazia assoluta bianca, gli Stati Uniti si appropriarono senza complessi del concetto di barbarie, sempre attribuito agli altri. Lo usarono per sterminare la popolazione originaria e per giustificare la loro schiavizzazione post indipendenza. Lo usò Walker per invadere il Nicaragua e lo usò Teddy Roosevelt per aggredire la Colombia. Lo usarono per giustificare l’Emendamento Platt. E lo usarono per giustificare il colpo di Stato in Cile, quando un funzionario yankee disse che se il popolo cileno non comprendeva per chi doveva votare, gli Stati Uniti avevano il dovere di correggere la sua ignoranza.
Ma sono barbari anche gli operai che lottano, il contadino che si solleva. Barbari erano quelli che tentarono d’assaltare il cielo nella Parigi della Comune e quelli che presero il Palazzo d’Inverno. Barbari erano gli anarchici di Chicago e anche Sacco e Vanzetti. Barbaro era Malcolm X, e barbara era Lolita Lebrón. Barbara era Nina Simone e George Floyd. Barbari sono i poveri che oggi combattono per la loro sorte in Perù.
Come un jolly del piccolo esploratore, l’idea del barbaro non ha mai smesso la sua utilità. Basta guardare in qualsiasi film di Hollywood l’immagine data delle nostre terre: strade sporche, violenza, narco trafficanti, corrotti, analfabeti, selvaggi buoni sottomessi allo yankee superiore e selvaggi cattivi senza sensibilità umana; balli esotici, autocrati, guerriglieri sanguinari; terre di dubbia moralità, terre di barbari.
Ascoltate i loro presidenti, leggete i loro giornali e sentite i loro telegiornali quando parlano di noi, quando misurano il nostro successo in base a come imitiamo le loro civili maniere, non solo politiche ma anche culturali. L’anfitrione del programma più visto della catena Fox News, Tucker Carlson, riferendosi agli arabi dice che non ci si può fidare di popoli che non usano posate e carta igienica.
Negli Stati Uniti, un politico esaltato riferendosi ai cinesi ha affermato in una riunione politica che non ci si può fidare di un Paese in cui gli abitanti mangiano le proprie mascotte. Una commentatrice televisiva in Perù ha giustificato la violenza contro i poveri perché la polizia non capisce chi non parla spagnolo. Il signor Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per le Politiche Estere e la Sicurezza, ha affermato che ”noi europei abbiamo costruito l‘Unione Europea come un giardino alla francese, pulito, ordinato, bello, ben curato, ma il resto del mondo è una giungla». L’Europa è un giardino, il resto sono barbari.
Non dimenticatelo, noi siamo barbari. Alcune delle nostre terre lo accetteranno come una maledizione, ma altre lo accetteranno sempre più come ciò che ci definisce differenti da loro, dai conquistatori, da chi sottomette, da chi sfrutta.
Siamo meravigliosi barbari, e il futuro è nostro, rassegnatevi all’idea.
Ernesto Estévez Rams e GM per Granma Internacional, 17 aprile 2023

Articolo originale: Nosotros, los barbaros

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